Celeste Ultramarina Terra d'Ombra
catalogo dell'associazione culturale Poiein -Napoli

di Clara Fiorillo

Annotavo, quasi distrattamente, sul foglio ancora bianco, una serie di aggettivi, cosi, tanto per richiamarmi alla mente la figura di Anna Trapani prima di avviare la mia presentazione alle sue opere. Ho iniziato sul bordo in alto, a destra, con ‘passionale”, poi ho piegato subito, nello spigolo, con “sanguigna”, e a quel punto è stata una cascata. Come credo sia uso nei test psicologici, ho incominciato a incolonnare le mie libere aggettivazioni sull’amica pittrice: dirompente fragorosa irruenta inquieta indipendente intelligente intollerante curiosa razionale generosa coraggiosa fedele dolce comprensiva delicata riservata.
Alla prima rilettura del mio elenco ebbi la sensazione di essermi contraddetta. Passionale e razionale, intollerante e comprensiva, dirompente e riservata: qualcosa forse non andava nel mio spirito di osservazione. Un attimo di riflessione e poi la convinzione di non essermi sbagliata: Anna è proprio cosi. Almeno cosl appare ai miei occhi. Questo miscuglio di opposti, che avevo fissato quasi involontariamente sulla carta, mi svelava inopinatamente la struttura costruttiva delle opere che avevo osservato, poche sere prima, visitando il suo atelier in compagnia del mio Geppino Cilento e di Patrizia Stoppelli, la giovane valorosa biologa napoletana nota al mondo scientifico per i suoi studi sul meccanismo di migrazione cellulare.
In effetti, anche lì, fin dall’inizio mi ero sentita oscillare tra una meraviglia attonita e qualcosa che somiglia allo sgomento, tanto che il mio primo commento era stato: «è una profanazione». Anna, giustamente, mi aveva guardato perplessa.
Ora comprendo che il mio sottile sgomento era dovuto all’immediatezza dell’accostamento linguistico che caratterizza queste opere di Anna Trapani: quello tra la delicatezza delle trame ricamate e la veemenza del segno pittorico. In realtà, credo che molti, come me, tremerebbero all’idea di fare cio che ha fatto Anna: ha rovistato nei suoi cassetti, forse in vecchi bauli di famiglia, ha raccolto i più bei pezzi del corredo di sua madre, di sua nonna, magari delle zie signorine, della nonna di sua nonna, giù giù attraverso le generazioni delle donne di sua famiglia fino al Settecento, poi si è munita di forbice e ha ritagliato, in grandi o piccoli pezzi, lenzuola, cusciniere, tovaglie e abiti antichi, fantasticamente ornati da ricami fiorati o geometrici, trasparenti o a rilievo. Poi ha fissato sulla tela il lavoro delle antenate etra i ricami incollati ha preso a dipingere le sue figure di donna.
L’effetto è scioccante: una vibrante popolazione femminile si agita tra le sinuosità dei merletti e lungo gli orli di fioriture liberty. A volte è il segno pittorico a inglobare i ricami, altre volte sono i ricami a generare le figure. Una folla di donne librate in uno spazio che muta continuamente le sue coordinate: le figure assumono per questo prospettive inusitate, Un mondo femminile in perenne fuga prospettica, che obbliga l’osservatore a repentini cambiamenti del punto di vista.
Di questo parlavo con Geppino, in taxi, il giorno seguente: a lui sembrava che l’impostazione del segno di Anna fosse quella degli affreschi, un segno fatto per essere visto dal basso; e anche le figure gli apparivano “da Giudizio”. Per Geppino, però, Anna è anche Penelope:
disfa e antiche trame, poi stende i morbidi tessuti sulla struttura lignea del telaio del quadro, li impasta nel gesso, ne fa tela di pittore” pronta ad accogliere le nuove trame del suo disegno. Come lui stesso dice, Anna «trascina le antiche abilità manuali verso il luogo pittorico della tela, e le incorpora in un nuovo statuto culturale del segno».
A me, invece, quella sera, l’architettura di alcuni quadri ricordava le prospettive del Tiepolo, mi pareva che le donne di Anna, come i Pulci nella ondeggianti su corde, ondeggiassero sulle ghirlande ricamate. E più di ogni altra cosa mi colpiva questo accostamento irriverente, profano, tra la levità del ricamo, un microcosmo, e la potenza delle figure femminili proiettate in uno spazio asistematico - un macrocosmo?
Tra il biancore lunare, silente, quieto, dei ricami delle antenate e il colore violento, loquace, dannato, delle donne dipinte in fuga prospettica.
Quella sera, nel suo studio, Patrizia chiedeva ad Anna come ella potesse concepire materialmente quella scrittura, la trama dei suoi segni. La risposta di Anna fu insieme istintiva e dotta, com’è nel suo stile quando discute. Una cosa non disse, forse perché sottintesa o forse per modestia:
che queste tele sono il suo modo di ricostruire una genealogia femminile, di riallacciare il tempo delle donne, di trascinare in una storia visibile il fare invisibile delle donne che l’hanno preceduta.
Anna Trapani ha dovuto “profanare”, fare violenza sulle tulle impalpabili, imbrigliandole nel suo segno forte, per poterle consegnare così, impastate in un’unica storia di donne, alle generazioni future.